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Crisi delle agenzie di marketing: cosa sta succedendo davvero?

Se lavori nel settore, probabilmente lo stai già vivendo sulla tua pelle. La crisi delle agenzie di marketing non è più un’ipotesi, ma una realtà che sta toccando sempre più professionisti : tra chi chiude, chi si reinventa e chi semplicemente non ce la fa più.
LinkedIn, TikTok, Threads: basta scorrere i feed per leggere post di marketer esausti, freelance che raccontano di clienti ingestibili, agenzie storiche che arrancano tra tagli ai budget, richieste impossibili e concorrenza fuori controllo.

C’è chi parla apertamente di burnout, chi di svalutazione del lavoro creativo, chi ancora di un cambiamento radicale del settore, accelerato dall’intelligenza artificiale e da una nuova cultura del “tutto e subito”.

Ma da dove nasce tutto questo? Cosa sta davvero minando la stabilità delle agenzie? E soprattutto: possiamo uscirne?

Proviamo ad analizzare i motivi più concreti (e umani) di questa crisi.

Pressione sui risultati e stress da performance

Il marketing non è mai stato un mestiere “leggero”, ma negli ultimi anni la pressione è diventata insostenibile. Risultati immediati, KPI sempre più aggressivi, cambiamenti continui degli algoritmi, ore infinite davanti a uno schermo e l’obbligo di dover “performare” in ogni canale, ogni giorno.

Tutto questo ha un prezzo. Un articolo pubblicato su Mi-3 nel 2024 riporta che il 70% dei professionisti nei settori dei media, marketing e creatività ha sperimentato burnout negli ultimi 12 mesi, secondo il 2024 Mentally Healthy Survey.
I fattori principali?

  • Connessione costante e nessun vero tempo di recupero
  • Multitasking cronico
  • Pressione per essere sempre creativi, originali, virali
  • Aspettative irrealistiche da parte di clienti o manager

Non si tratta solo di stanchezza: è una crisi strutturale che impatta sulla salute mentale, sulla produttività e, inevitabilmente, sulla qualità del lavoro.
E chi lavora in agenzia lo sa bene: il cliente vuole “tutto e subito”, ma il tempo e le risorse per lavorare bene sono sempre meno.

Molti professionisti, di fronte a questo scenario, scelgono di lasciare le agenzie per tentare la libera professione, nella speranza di avere più controllo sul proprio tempo e meno pressioni. Ma il problema resta: oggi si lavora in un sistema che ti chiede sempre il massimo, anche quando sei già al limite.

Concorrenza sleale e improvvisazione: il far west del marketing

Se sei nel settore, lo sai già: oggi chiunque può aprire un profilo Instagram, scaricare qualche template, e proclamarsi “social media manager” o “esperto di marketing”. È il problema dell’improvvisazione: professionisti senza una reale formazione o esperienza che offrono servizi a prezzi stracciati, confondendo il mercato e abbassando la percezione del valore del nostro lavoro.

Molte agenzie serie si trovano a dover “ricostruire” progetti già mal gestiti da questi finti esperti. Siti abbandonati, campagne inutili, clienti insoddisfatti: chi lavora con serietà spesso si ritrova a correggere danni piuttosto che creare valore da zero.

La concorrenza sleale, in questo contesto, non è fatta solo di prezzi più bassi, ma di una narrazione sbagliata: promesse irrealistiche, risultati garantiti, strategie “miracolose” vendute in pacchetti preconfezionati. E questo danneggia tutto il settore, alimentando diffidenza e aspettative sbagliate da parte dei clienti.

In mezzo a questo caos, molte agenzie si ritrovano a dover giustificare il proprio costo, il proprio metodo, persino il proprio ruolo. Perché se “l’altro me lo fa a 100 euro”, allora perché mai dovrei pagare di più?

E così, invece di parlare di strategia, parliamo di sconti. Invece di costruire relazioni, lottiamo per farci capire.

“Tanto che ci vuole?” La crisi culturale nel rapporto cliente-agenzia

C’è un aspetto di cui si parla poco ma che incide moltissimo sulla crisi delle agenzie di marketing: la mancanza di cultura e rispetto verso il lavoro creativo e strategico.

Molti clienti pensano ancora che “fare un post” sia questione di 5 minuti, che “una campagna su Meta” si possa improvvisare in mezz’ora, e che “basta pubblicare 3 post a settimana per avere risultati”. Ma soprattutto, si pretende tutto e subito: visibilità immediata, vendite a raffica, miracoli a basso budget.

La realtà? Il marketing non è magia, ma metodo. Richiede analisi, test, studio del target, conoscenza dei trend, strategia e una costante ottimizzazione. Eppure, troppo spesso chi lavora nel settore si trova a dover spiegare e giustificare ogni voce di un preventivo come se fosse un furto.

Questa ignoranza diffusa non riguarda solo i clienti piccoli o locali: anche aziende medio-grandi a volte mostrano scarsa comprensione del lavoro che c’è dietro. Il risultato? Collaborazioni stressanti, continue richieste last minute, poca fiducia e un ciclo infinito di revisioni perché “non è come me lo aspettavo”.

Questo clima di sospetto e svalutazione logora i rapporti e spinge molti professionisti a cambiare strada. Chi resta nel settore spesso lo fa con meno entusiasmo, più frustrazione, e il peso di dover sempre dimostrare di valere qualcosa.

Freelance, consulenti e “mini team”: la nuova forma delle agenzie

Nel pieno della crisi delle agenzie di marketing, molti professionisti hanno deciso di abbandonare le strutture classiche per mettersi in proprio. E non si tratta solo di “mettersi in partita IVA” per necessità, ma di una scelta consapevole: creare modelli di lavoro più snelli, flessibili e sostenibili.

C’è chi lavora da solo come freelance verticale, chi crea micro-reti di collaboratori in remoto, chi si presenta come consulente strategico e coinvolge altri creativi quando serve. Il punto in comune è sempre lo stesso: uscire da logiche aziendali tossiche e ridefinire il proprio rapporto con il lavoro (e con i clienti).

Questo ha portato a una trasformazione importante nel mercato:

  • Le aziende si rivolgono sempre più spesso a singoli professionisti piuttosto che ad agenzie strutturate.
  • I clienti cercano relazioni più umane, meno intermediarie e più trasparenti.
  • I “piccoli” spesso riescono ad avere un impatto più diretto, veloce e personalizzato.

Ma attenzione: questa nuova forma di lavoro porta con sé anche delle sfide. Il rischio è che l’assenza di una struttura formale porti a una maggiore precarietà, all’isolamento e a difficoltà nel definire i propri confini professionali (orari, tariffe, scope of work). E se da un lato si sfugge al burnout da agenzia, dall’altro si rischia di finire nel burnout da freelance.

Il punto non è demonizzare le agenzie o glorificare il lavoro autonomo, ma capire che il settore sta cambiando, e che la forma con cui si fa marketing oggi va ripensata a partire da relazioni più sane e modelli più umani.

Cambiare rotta è possibile

La crisi delle agenzie di marketing non è solo una questione economica o tecnologica. È una crisi di fiducia, di relazioni, di umanità. Troppa pressione, troppa corsa ai risultati, troppa poca comprensione del lavoro che c’è dietro ogni post, ogni strategia, ogni contenuto.

Ma da ogni crisi può nascere un cambiamento.

Forse non abbiamo ancora tutte le risposte, ma possiamo iniziare a farci le domande giuste: Come vogliamo lavorare? Con chi vogliamo lavorare? Cosa possiamo fare per riportare rispetto, equilibrio e valore nel nostro settore?

Noi, come GoBrand, ci crediamo ancora.

Crediamo in un marketing fatto bene, con passione e consapevolezza. In clienti con cui si collabora davvero, e non si subisce. In un modo di lavorare che non consumi le persone, ma le valorizzi. Se hai un’attività locale e vuoi capire come possiamo lavorare insieme per migliorarne la visibilità, aumentare le recensioni e portare più clienti dal quartiere alla tua porta, prenota una consulenza con il nostro team.
Perché il marketing può (e deve) funzionare davvero: per chi lo fa e per chi ne ha bisogno.

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